[Corsi; Notizie]
Martedì 11 ottobre, su gradito invito di Uniel Arezzo, inizio un ciclo di cinque incontri sul tema “La rivoluzione digitale: come cambiano le nostre vite, le relazioni, la politica”. Gli incontri si svolgono presso la sede di Piazza Fanfani, 9 (ex caserma Cadorna), dalle ore 16.00 alle 18.00. Ingresso libero a tutti gli interessati. |
La comunicazione rappresenta la struttura profonda della persona umana. Secondo la Bibbia è il linguaggio a connaturare in maniera specifica l’essere umano. Il soffio divino (Genesi 2,7) rende l’uomo «un essere vivente»; nel servizio religioso della sinagoga si rende questa espressione così: lo rese «uno spirito parlante». Questa struttura profonda dell’essere umano è immagine dell’archetipo divino (il Logos, il Verbo, la Parola), per cui diviene chiaro che l’immagine di Dio è l’uomo vivente. Il modello primo della comunicazione è il modello trinitario: tre Persone distinte ma della stessa Sostanza. In altri termini: la comunicazione è tale se mantiene le diversità (evitando la confusione indistinta della omologazione) e garantisce la capacità di entrare in contatto. Dal punto di vista antropologico questa verità profonda si sviluppa nell’evitare due errori contrapposti. Il primo è quello di immaginare la possibilità della comunicazione umana come standardizzazione e prevalenza di un solo modello culturale: ci parliamo e siamo in grado di vivere assieme perché assumiamo tutti lo stesso format: parliamo tutti inglese (o magari cinese mandarino…), facciamo tutti le stesse cose, ci riferiamo tutti alla stessa economia, alla stessa politica, alla stessa cultura… Il secondo errore è speculare e altrettanto grave: pensare che difendere la propria autonomia sia credere alla propria autosufficienza, che l’orgoglio per la propria identità comporti la negazione delle identità altrui, che non la comunicazione ma la lotta per la sopraffazione (o al massimo la semplice e fredda tolleranza del diverso, la divisione del mondo fisico e di quello mentale in cittadelle fortificate) siano il destino dell’umanità.
Gli studiosi del comportamento umano chiamano joint attention task la capacità di interagire con altri al fine di cooperare per un obiettivo comune. Questo è anche il motore dell’apprendimento: tutte le ricerche – e l’esperienza di qualsiasi educatore – mostrano come sia indispensabile la collaborazione di chi apprende, il suo desiderio, la sua attenzione. Già il bambino chiede «Cosa è questa cosa?» e si attende una risposta dall’adulto. Senza la disponibilità del bambino al dialogo tutto il sapere dell’adulto sarebbe insufficiente a generare conoscenza. Come è stato notato anche da studiosi contemporanei[1] Tommaso d’Aquino nella Summa teologica riconosceva la capacità dello Spirito Santo di metterci in un rapporto di joint attention task con Dio. Un Dio che è trinitario, quindi intrinsecamente comunicazione, un Dio che è persona, al quale ci si possa rivolgere con il tu. Aristotele, che pure descrive un Dio buono, potente ed eterno, non usa il tu della comunicazione, come farà invece Agostino scrivendo alla seconda persona singolare l’intero libro delle Confessioni. Anche da un punto di vista più strettamente sociologico si fa strada la percezione che attraverso il modello trinitario proposto dal cristianesimo sia possibile mettere insieme laicità e multiculturalità, identità e integrazione[2].
Perché la comunicazione è atto specificatamente umano? Essa realizza in modo eminente la stretta correlazione tra natura e cultura presente in ogni istante della nostra vita. Diversamente da ogni illusorio spiritualismo, dobbiamo sempre ricordare che ogni nostro atto, ogni nostro istante, ogni nostro respiro si collocano in un contesto corporeo, fisico, naturale. Abbiamo una massa soggetta alle leggi di gravità. Abbiamo un corpo che interagisce con l’ambiente. Possiamo parlare perché utilizziamo gli organi della fonazione. Tuttavia ciò non basta a spiegare la complessità del linguaggio. Anatomia e fisiologia degli organi della fonazione sono sostanzialmente simili in tutti gli esseri umani, eppure abbiamo elaborato un numero elevatissimo di lingue nella storia dell’umanità. Secondo il «Summer Institute of Linguistics» ci sono oggi 6.912 lingue vive e 33 sistemi di scrittura[3]. Questa enorme pluralità non è un dato accidentale o un fastidioso problema. È piuttosto testimonianza della straordinaria capacità di rendere umano il mondo, intrecciando in modo inestricabile natura e cultura, dato fisico e ricerca di significato esistenziale. Qualcosa di molto simile a quanto avviene con il cibo: anatomia e fisiologia degli apparati digestivi sono molto simili negli esseri umani ma le modalità attraverso le quali cuciniamo i cibi sono infinite. Non si tratta soltanto della ovvia constatazione della presenza differenziata delle materie prime ma molto di più dei valori e dei significati associati alla preparazione e al consumo dei cibi.
[1] Ad esempio Andrew Pinsent, direttore del “Centro per la scienza e la religione presso l’Università di Oxford”,
[2] Si veda il recente libro di P. Donati La matrice teologica della società, Rubbettino, Soveria Mannelli 2010.
[3] Vale a dire le scritture: araba, armena, bengalese, birmana, cambogiana, cherokee, cinese, cirillica, cree, devanagari, ebraica, etiopica, georgiana, greca, gujarati, gurmukhi, hangul, kana, kannada, laotiana, latina, malayalam, maldiviana, mongola, oriya, singalese, siriaca, tamil, telugu, thailandese, tibetana, tifinagh, yi. Cfr. M. Cimarosti, Non legitur, Stampa Alternativa & Graffiti, Roma 2005