L’articolo completo è stato pubblicato su “Egeria” 2/2012 alle pp. 27-46
Da un punto di vista sociologico la veloce evoluzione degli “ambienti ecologici” generati dalla comunicazione pone non poche difficoltà. Si affacciano problemi legati alla diversità generazionale, culturale, perfino antropologica. La politica, la scuola, l’economia devono fare i conti con questa nuova realtà.
E la Chiesa? Non si può negare che per molti aspetti la stessa Chiesa sia messa in difficoltà, a più livelli: non solo l’organizzazione della comunità ecclesiale, ma anche l’espressione della fede e la comprensibilità del suo annuncio. Le forme tradizionali di aggregazione, legate alla fisicità di un luogo e alla prossimità spaziale, sembrano non essere più comprensibili nei nuovi contesti del postmoderno e della “società liquida”. Al tempo dei “legami corti” sembra davvero difficile trovare un vocabolario e una grammatica adatti a comunicare l’esperienza di fede, a «rendere ragione della speranza che è in noi[1]».
Di fronte a rapidissimi mutamento di scenario sembra che si debba scegliere tra lo sforzo di ricostruire il contesto precedente o di accettare la sfida della rivoluzione digitale. La tradizione da cui proveniamo ha una nobilissima ragion d’essere, ma è molto probabile che il modo migliore per non banalizzarla sia la fedeltà creativa ad essa, non la ricostruzione di un ambiente che non c’è più.
Potremmo anche scoprire inaspettati legami tra l’antico e il nuovo, con l’antico ancora in grado di parlarci e il nuovo tutt’altro che orfano.
[1] 1Pt 3,15.