Un metodo e un obiettivo che si richiamano a vicenda
Appare sempre più evidente la necessità di uno sguardo inclusivo, capace di cogliere le relazioni, di sostenere la complessità, di porgere ascolto alle ragioni di tutti. Siamo spesso prigionieri di preconcetti ideologici, di automatismi, di impulsi a schierarsi in contrapposizione feroce tra fazioni. Eppure, come non si stanca di ripetere papa Francesco, “tutto è connesso”.
Tra i tanti esempi negativi possiamo citare le opposte decisioni della Corte Suprema americana. Negli stessi giorni in cui ha preso la decisione di rimettere al potere legislativo dei singoli Stati (e quindi alla scelta dei cittadini) la normativa sull’aborto, ha bloccato le leggi volute da singoli Stati per limitare l’uso delle armi. Mentre dichiara che l’aborto non è un diritto incondizionato, ribadisce che possedere armi d’assalto, portarle in pubblico senza specifico motivo, acquistarle al supermercato più facilmente di quanto si possa acquistare un bicchiere di birra, tutto questo è un diritto incondizionato – e le stragi pressoché quotidiane continuano: nelle scuole, nelle chiese, nelle piazze, nelle case.
Altrove la proprietà di essere soggetti di diritto viene estesa anche agli animali, ma si dà per scontato che il concepito non ne possieda nessuno. Il progredire della scienza viene ignorato, la progressiva scoperta delle mille relazioni che intercorrono sin dal concepimento tra due soggetti non viene percepita dalla opinione corrente. Verrà un tempo in cui si guarderà con stupore e riprovazione a una civiltà che non ha saputo riconoscere il diritto alla vita di qualcuno solo perché il più fragile di tutti, senza potere. Lo stesso stupore e riprovazione con cui noi guardiamo il dibattito del primo Cinquecento circa gli amerindi, che per qualcuno non erano veri uomini, ma “animali un po’ più evoluti” – il che giustificava la loro riduzione in schiavitù. La consapevolezza della dignità del concepito non ha nulla a che fare con la colpevolizzazione della donna, la sordità davanti a situazioni difficili, la tentazione di giudizi moralistici e spesso ipocriti. Ma pone un interrogativo: non rischiamo di risolvere la questione azzerando le ragioni della parte più debole – come si è fatto e si fa ancora oggi verso persone e gruppi ai margini della società e senza potere?
L’ideologia acceca, la ricerca del consenso spinge a semplificare problemi complessi, a scaricare il risentimento su quelli che non la pensano come noi.
Spesso chi si oppone all’aborto è lo stesso che è favorevole alla pena di morte, a pene “esemplari”, a far “marcire in prigione e buttar via la chiave”, al respingimento delle persone migranti e in fuga da guerre e carestie, mentre è contrario alle tutele sociali verso le categorie più deboli. Non di rado scarica sulla donna l’intero peso della gravidanza, è convinto che la repressione, la sanzione penale, lo stigma sociale siano strumenti legittimi e sufficienti per raggiungere il risultato. Si considera paladino dei “valori” ma chiude gli occhi davanti alla sofferenza delle persone.
Altrettanto spesso chi mostra sensibilità per chi è più svantaggiato, rifiutato alle frontiere, costretto a mettere a rischio la vita con lavori in nero e pericolosi, non riesce a vedere la fragilità del più rifiutato di tutti, e considera un diritto incondizionato quello che è un problema da affrontare con delicatezza, solidarietà e lungimiranza, ma non come un atto banale e privato. Si considera “progressista” ma non coglie i progressi della scienza e gli interrogativi che pone sulla soggettività del concepito.
Un altro clamoroso esempio di quanto sia contraddittorio cogliere solo un aspetto dei problemi è rappresentato dalla protezione dell’ambiente. C’è chi non crede ai cambiamenti climatici a opera dell’uomo, non accetta le limitazioni alle emissioni di carbonio o allo sfruttamento indiscriminato delle fonti fossili, vede come un attentato allo sviluppo economico e alla libertà di consumare ogni ipotesi di regolamentazione che non sia esclusivamente legata al Pil. Eppure un ambiente inquinato, la mancanza di adeguata assistenza medica, la malnutrizione e la fame sono causa nel mondo di un enorme numero di aborti che in realtà non sono “spontanei”, ma derivano da cause umane che potrebbero essere rimosse.
Saremo capaci di uscire dalla reciproca incomunicabilità, una vera e terribile “scomunica” reciproca? È in gioco la democrazia. Il modo con cui alcune grandi piattaforme hanno impostato i social rende drammatico il fenomeno della “camera dell’eco” in cui ciascuno ascolta solo i pareri che lo confermano nelle proprie posizioni. La divisione sempre più profonda cui assistiamo negli Usa è drammatica, quasi prodromo di una seconda guerra civile – ma potrebbe essere il destino anche di altre grandi democrazie (per non parlare delle democrature, dei regimi autoritari e delle vere e proprie dittature).
Ci sono spiragli di speranza. Il dibattito sull’”utero in affitto” ha rimescolato le carte. Alcuni (non tutti!) tra i “conservatori” si sono chiesti quanto sia morale rendere una persona “strumento” di un’altra. Alcuni (non tutti!) tra i “progressisti” si sono chiesti quanto sia corretto un rapporto di compra vendita che di fatto sfrutta le donne, per lo più quelle povere. Importanti esponenti femministe hanno denunciato questa pratica come barbarica e sessista. Entrambi i gruppi si sono fatti interrogare dalla ricerca scientifica, capace di mostrare l’intima relazione che si crea tra gestante e concepito. Ignorare queste conoscenze vuol dire tornare all’idea aristotelica, degradante per la donna, che la femmina sia solo il forno nel quale si cuoce il pane (e quindi ciascuno può cucinarsi la pagnotta che vuole, basta che paghi).
Potremo farcela a “tenere tutto insieme”? A comprendere come si debbano ascoltare le voci di tutti, a partire da quelle più deboli?
Non possiamo più pensare che abbia un senso difendere “a pezzetti” un diritto tralasciandone un altro, screditare l’avversario, rendere ogni momento di confronto un ring dove prendersi a pugni o cercare l’applauso dei propri tifosi. La posta in gioco è troppo alta.
Per questo proponiamo un Manifesto [o Appello?} per cercare di tenere assieme la complessità delle questioni, ma anche per tenere assieme la pluralità delle persone che, da posizioni anche diverse, vogliono uscire dalle “camere dell’eco”, confrontarsi, parlarsi, riconoscersi degne di attenzione e di rispetto.
Il testo è una bozza, aperto a integrazioni e modifiche. Non ci interessa il consenso degli slogan di parte. Più d’uno ci ha detto che proporre un Manifesto di questo genere è un ottimo modo per scontentare tutti: destra e sinistra, conservatori e progressisti, cattolici e laici. Può darsi che non assoggettarsi agli automatismi di schieramento possa provocare anche questo: è un rischio che ci prendiamo consapevolmente. Ma siamo anche convinti che esista un gran numero di persone che si chiedono sinceramente che cosa è giusto fare, che sono alla ricerca di interlocutori con cui confrontarsi.
Non c’è una soluzione semplice a problemi complessi. Noi non abbiamo una soluzione, ma un metodo e un obiettivo.
Il metodo è il dialogo, il rispetto, il rifiuto degli schieramenti aprioristici, del rancore e della denigrazione dell’interlocutore.
L’obiettivo è la protezione e la promozione della vita, e della vita buona, di tutti, a partire dai più deboli, da chi non ha forza mediatica, politica, economica.
Estate 2022
Qui puoi leggere l’Introduzione all’Appello per la vita
Qui puoi leggere l’appello
Qui puoi leggere Introduzione e Appello pubblicati su “Toscana Oggi ” del 23 ottobre 2022
Qui puoi sottoscrivere l’appello
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