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Formazione scuole Esedra. Cultura digitale, modulo 1



[Notizie; Corsi] Ho iniziato sabato 1° ottobre un ciclo di otto moduli su temi di Cultura Digitale, all’interno di un percorso di formazione caratterizzato dal progettare l’apprendimento come servizio alla comunità. Il percorso, rivolto a docenti di Lucca del gruppo Esedra, è il frutto di una coprogettazione svolta lo scorso a.s. e di cui ho dato notizia in questo post. Ringrazio tutti i partecipanti per questo inizio, assai promettente.

Viviamo in un mondo saturo di parole, di immagini, di informazione. Un mondo nel quale i circuiti elettronici sono sempre accesi, gli strumenti della comunicazione sono sempre più piccoli, pervasivi, ormai una estensione del nostro corpo, dei nostri organi di senso, della nostra mente. Da diversi decenni sugli schermi delle nostre tv non compare più la scritta “fine delle trasmissioni”, nessuna pausa interrompe il fluire elettronico dei monitor. Siamo immersi in una galassia mediatica nella quale più mezzi di comunicazione sono presenti nello stesso istante a sollecitare la nostra attenzione.

Tutto questo basta a renderlo anche un mondo ricco di comunicazione? Siamo protagonisti, testimoni o vittime del moltiplicarsi di strumenti, occasioni, luoghi del comunicare? Dobbiamo aspettarci un cambiamento radicale nei modi di conoscere e strutturare il mondo, le relazioni con gli altri, noi stessi e il nostro destino?

Queste e altre domande si affacciano da qualche anno nella mente di tutti noi: figli e padri, giovani e di età matura, studenti e insegnanti, credenti e non credenti. Forse lo fanno in maniera diversa: ci sono i “nativi digitali” per i quali l’immersione nella osmosi comunicativa è un dato di fatto e la perenne connessione alla rete un dato fisiologico. Per essi il lento apprendistato concettuale, la sistematica lettura dei testi, l’ascolto ininterrotto di una argomentazione e di una dimostrazione sono non solo lontani ma spesso incomprensibili. Accanto a loro, come in un altro mondo, ci sono le generazioni più mature che al massimo sono “immigrati digitali”. A queste persone sembra che il filo della memoria si spezzi, che il patrimonio culturale elaborato in secoli si perda, che il mondo si stia banalizzando[2]. Ma è proprio così?

Probabilmente ci è toccato di vivere in una fase delicata della nostra storia comune e alle generazioni attuali è affidato un compito decisivo: costituire un ponte, un passaggio, una interfaccia tra differenti modalità di percepire il mondo, sviluppare strategie conoscitive, elaborare etiche della convivenza e della relazione. Per far questo occorre essere consapevoli di ciò che abbiamo dato per ovvio nel passato, anche recente: il significato e le caratteristiche della comunicazione scritta, dell’accesso limitato all’informazione, della iniziazione progressiva al sapere. Occorre essere allo stesso tempo consapevoli della continuità e della frattura che coesistono tra il vecchio continente della cultura scritta e quello nuovo della comunicazione digitale, in particolare di quello che è stato chiamato il “settimo continente”, lo spazio della rete.

Per metterci in condizioni di poter sviluppare questa consapevolezza occorre riflettere sull’importanza della comunicazione nella costituzione stessa della persona umana. Dobbiamo intraprendere un viaggio, per molti aspetti affascinante, che ci porti a scoprire l’enorme ricchezza racchiusa in quello che spesso giudichiamo ovvio e degno di poca attenzione, nonché le potenzialità di quel “nuovo” che a volte ci intimorisce. Scoprendo magari di essere chiamati a una interpretazione etica, politica e religiosa di qualcosa che pensavamo soltanto tecnologico.


[2] «Questa gioventù è guasta fino in fondo al cuore. Non sarà mai come quella di una volta. Quella di oggi non sarà capace di conservare la nostra cultura». Non sono parole di oggi, risalgono a circa 3.000 anni fa e sono state ritrovate nei pressi di Babilonia.

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