Comunicazione,Tutte Camus e la comunicazione

Camus e la comunicazione



L’informazione, il suo supporto, le sue conseguenze

Può succedere che un romanzo sia molto più efficace di un manuale, specialmente se – come a volte succede – i manuali sono un po’ pretenziosi e convinti di poter inquadrare in modo riduttivo realtà molto complesse, come quella della comunicazione. Mentre infatti molta manualistica è sospesa tra una classificazione esasperata da un lato e una deriva sentimentale dall’altra, può succedere di incontrare in pagine scritte con tutt’altro scopo – ma con passione e verità – riflessioni molto significative per chi si occupa di comunicazione, o almeno vuol tentare di capirci qualcosa di più.

Prendiamo ad esempio Camus. Tra le sue opere più note possiamo ricordare La peste, pubblicata nel 1947. È ambientata nella città portuale di Orano, allora Algeria francese. Nel romanzo si narra dell’arrivo della peste nella città e di come, gradualmente, tale evento si imponga sulle iniziali minimizzazioni e sconvolga la vita di tutti. In questa sede però ci interessa un aspetto specifico e mai affrontato dalla critica letteraria, che giustamente si è occupata di altro: quello della comunicazione. Sotto due aspetti: il canale che permette la condivisione dell’informazione e la sua qualità.

La città di Orano ha un porto di grandi traffici e i suoi abitanti per lo più vivono di commercio. Ma quando è ormai evidente che si tratta di peste e che il pericolo di contagio su territori più vasti è molto alto, da Parigi viene un ordine perentorio: isolare la città, chiudere il porto, le ferrovie, le strade, ogni via di accesso. Dunque è proprio la negazione della comunicazione che ci permette di comprenderne meglio le caratteristiche. Prima di tutto c’è da notare che c’è una informazione strettamente  connessa al suo supporto oppure in un certo senso separabile da esso. Al primo gruppo appartengono tutti i fenomeni di comunicazione legati allo spostamento fisico delle persone e delle cose: nella città devastata dalla peste sono bloccati i treni, le navi, le auto, i viaggi e gli spostamenti. Ma anche le lettere non possono essere scambiate con il mondo esterno, perché c’è comunque un supporto fisico che può fare da tramite al contagio. In questo caso non si tratta di spostare le persone, e neanche un oggetto (la carta) in quanto tale. Quello che interessa è l’informazione (il testo sulla carta): ma poiché l’informazione non è separabile dal suo supporto, viene bloccata. C’è poi la comunicazione separata dal suo supporto fisico: nel 1947 si fa riferimento al telefono e al telegramma. Nella città di Orano però anche il telefono dopo qualche tempo viene bloccato perché provoca assembramenti alle cabine e sovraccarico di linee. Rimane solo  il telegramma. Così siamo con facilità portati a comprendere che lo sdoppiamento comunicazione con e senza supporto fisico intrinseco si accompagna a un’altra coppia terminologica: comunicazione sincrona/asincrona. Quella del telefono è sincrona, cioè in contemporanea tra gli interlocutori. Quella del telegramma è asincrona: il momento in cui si scrive non corrisponde a quello in cui qualcuno legge. In termini contemporanei ad esempio la chat è comunicazione sincrona, mentre la mail è asincrona.

Il blocco delle comunicazioni fisiche con i vari lockdown lo abbiamo conosciuto anche in tempi recenti. Camus non immaginava certo la possibilità di comunicazione globale e istantanea della Rete. Conosceva i mezzi di allora, come i telegrammi, e sapeva come la mediazione influenzi sempre il messaggio (“il mezzo è il messaggio”, diceva McLuhan).

Parlare del linguaggio del telegramma permette a Camus di passare al secondo punto: la qualità della comunicazione. Camus mette in evidenza come tale mezzo  obblighi alla standardizzazione delle frasi, sino al laconico “Noi tutti bene. A presto”. Ma non è solo questione di mezzi tecnici: anche il colloquio tra le persone a poco a poco vi si conforma. Poiché quello che era stato maturato con intensità e significato viene recepito dall’interlocutore in modo banale, di conseguenza tutti tendono a usare le formule stereotipe. Il personaggio più commovente di tutti è l’impiegato comunale Grand che impegna tutto il suo tempo libero a cercare le parole che rendano perfettamente quello che ha in mente, qualcosa che di per sé sia capace di evocare, di rappresentare, di rendere visibile le immagini che gli affollano la mente. Memorabile l’incipit del suo ipotetico romanzo, con la “snella amazzone” che cavalca nei viali alberati del Bois de Boulogne. Camus ironizza con simpatia quando riporta la convinzione che il modo migliore di descrivere il cavallo sia “il nero destriero sauro”, poiché l’ignaro Grand non sa che “sauro” è un colore e non il nome della razza di cavalli…  Grand ha sempre sognato di poter talmente affinare la sua scrittura che l’editore, leggendo il manoscritto, esclami davanti ai suoi collaboratori: “Signori, giù il cappello!”. Ma molto probabilmente – annota Camus – gli editori non portano il cappello nei loro uffici mentre lavorano..

Non esiste una corrispondenza totale tra la parola e la cosa, tra la narrazione e la realtà, tra la mappa e il territorio.  Eppure questa consapevolezza non esime dalla comunicazione: la rende solo più curata e più umile. Un ultimo esempio ne segna – per contrappasso – questa caratteristica. Mentre in città scarseggia la carta e alcuni giornali devono ridurre le pagine, nasce un nuovo giornale: “Il corriere della peste”. Dedicato esclusivamente a questo tema, riporta tutte le notizie in proposito e si propone l’unione di tutte le persone che intendono decisamente lottare contro questo male. Sarebbe già una intuizione commerciale quella di aver trovato un argomento di sicuro interesse e vendita: tuttavia il vero guadagno non sta nelle copie vendute ma nel fatto che il giornale consiste esclusivamente nella promozione di mille rimedi “miracolosi” contro la peste stessa. Potenza del mondo dei media e del marketing, che si adatta in modo immediato e camaleontico alle situazioni. Non è senza significato che Camus inserisca anche il personaggio del  giornalista  Rambert capitato per caso in città e rimastovi bloccato per la peste. Dopo molti tentativi inutili di essere autorizzato ad abbandonare Orano per tornare in Francia dalla moglie, proprio quando ha incontrato un’organizzazione malavitosa che si occupa delle fughe, rinuncia al suo desiderio iniziale e rimane in città. Anche nell’informazione esistono scelte etiche molto diverse.

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